Scrivono per noi

L'anfora e i suoi adepti

Spesso capita che ci si evolva per poi scoprire che secoli prima si era già capito tutto. E la vinificazione in anfora in effetti, antica per antonomasia e in gran spolvero ai giorni nostri, presenta più vantaggi che svantaggi, risponde all’odierno mito enologico che vede nel terroir la sua chimera e soddisfa la pressante esigenza green di naturalezza.

Le recenti ricerche hanno infatti dimostrato come la terracotta non ceda alcun sapore e dunque sia particolarmente indicata per mantenere intatta la materia prima. La sua porosità poi, fa sì che avvenga una micro ossigenazione, utile per l’affinamento del vino. Non ultimo il grande vantaggio di essere un materiale, se ben curato, pressoché eterno. A voler approfondire il tema però, le variabili sono molte.

L’argilla deve essere purissima per evitare la cessione di minerali. La più famosa è quella georgiana, proveniente dalla regione di Kakheti, dove da più di 6000 anni si producono i tipici qvevri per la fermentazione e la conservazione del vino. In Italia è nota la terracotta di Impruneta utilizzata da Artenova, ci sono poi Tava a Trento e le anfore di Sirio in Umbria.

Le anfore possono essere interrate o meno, o ancora trattate esternamente con calce secondo il metodo Kakhetiano; tutti fattori che agiscono sull’isolamento termico, altro indiscusso vantaggio di questo materiale. Il rivestimento interno può essere “a crudo”, o trattato con cera d’api e resine epossidiche, che influiscono sulla permeabilità e dunque sulla quantità di ossigeno che passa attraverso il recipiente. Inoltre la grandezza dello stesso, fa sì che l’ossigenazione aumenti al diminuire delle sue dimensioni. Sotto questo aspetto, infine, un utile accorgimento è quello di selezionare i vitigni ricchi di polifenoli, acidi e di buona struttura, naturalmente predisposti a combattere il processo di ossidazione.

Apprezzata dal settore “green”, che nell’argilla identifica un punto di equilibrio tra le diverse forze della natura e dunque la adotta sempre più spesso per la produzione di vini naturali e biodinamici, il primo e più noto utilizzatore è certamente Josko Gravner, che si serve di grandi qvevri georgiani per le lunghe macerazioni dei suoi vini. Sempre al nord, in Trentino, a farne un uso sapiente troviamo Elisabetta Foradori; proseguendo incontriamo Petrolo ed Elena Fucci, arrivando infine sull’Etna, con Frank Cornelissen e le sue tinajas di Villarrobledo. Gli adepti dell’anfora sono in continuo aumento e il motivo è chiaro: è cosa buona e giusta, mica solo moda.