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WunderGlass: il calice delle meraviglie

Il vino è un compagno difficile, diceva Veronelli, e ciò accade non solo in ragione della sua ritrosia a concedersi presso determinati climi, siano essi di natura meteorologica o emotiva, ma anche perché per esprimersi al meglio abbisogna di una delicatissima e spesso non prevedibile interazione con un fattore a lui tanto estraneo quanto determinante: il calice, che, del vino, è più che la veste, anzi, la voce. Un uomo senza voce è un inconoscibile o, peggio, irriconoscibile; quello con la voce garrula o gracchiante, invece, non vorremmo mai conoscerlo e a maggior ragione se tutto il resto, invece, ci attrae. Concedetemi queste boutade perché la questione è più seria di quanto non si potrebbe pensare in un primo momento: ho visto vini straordinari abbrutiti da calici grossolani mentre altri, affabulatori e suasivi di natura, farsi bizzosi, sussiegosi e silenti. Vini che ricordavo precisi ed eloquenti diventare evasivi e confusi mentre altri ancora, noti per l’eleganza del portamento, farsi pingui o, peggio, approssimativi. E benché non sia mai certo l’esito finale sebbene, nei casi più eclatanti, sia abbondantemente prevedibile, quel che è certo è che un vino cattivo non diventerà mai buono per via di un ottimo calice, mentre un vino buono sarà molto più buono, o molto meno, a causa o per merito del calice in cui viene servito.


Così guardo sempre ai calici da vino con un misto di sospetto e senso di aspettativa, la stessa con la quale mi sono approcciata ai nuovi WunderGlass, ovvero la linea premium della vetreria artigianale boema Sophienwald, che li realizza interamente a mano e soffia integralmente a bocca. A una prima
occhiata balza all’occhio innegabile l’eleganza, certo, ma anche l’imponenza, dato che sembrano molto più alti di tanti loro omologhi in commercio. Inoltre colpisce, nella tipologia dedicata ai vini rossi, una certa pingue, decisa bombatura nella pancia, sorretta dal lungo stelo e l’ancor più lungo bevante. L’idea generale, insomma, trasmette slancio e maestosità pur, ma questo si scopre in un secondo momento, nella sorprendente leggerezza una volta impugnato lo stelo. Che la leggerezza sia, ormai è notorio, l’ambizione massima del calice contemporaneo, e non solo in questo ambito, è ormai acclarato; quello che qui colpisce, però, è l’inaspettata, controintuitiva levità a fronte della struttura solida e importante delle proporzioni. Prendendo, per esempio, ancora una volta il calice da rossi come termine di paragone, sappiate che il bevante è alto circa 2 cm in più del Burgundy di Zalto pur nel peso complessivo di appena 110 grammi. Maneggiandoli, però, l’idea non è quella dell’impalpabile, aerea fragilità dello Zalto, bensì di una certa rassicurante consistenza, considerato anche il prezzo competitivo (24 euro). A calice pieno, poi, lampante l’elasticità dello stelo, capace di assecondare la rotazione che precede la degustazione e, anzi, di incoraggiarla.

Dal momento che, poi, sono stati pensati da Partesa per il segmento lusso della ristorazione, interesserà sapere che Sophienwald ha pensato anche al prosieguo: assieme ai calici, infatti, è possibile acquistare anche l’apposito cestello per il lavaggio che, notoriamente, è il primo accusato sul tavolo degli imputati per rottura.
Quanto alla degustazione, ogni vino assaggiato nei calici WunderGlass ci è parso respirare ulteriormente, e in trasparenza, come a concedersi in ogni suo più intimo dettaglio. Altrettanto ispirato il punto di beva che centra in pieno lingua e palato riecheggiando di tutte le salienze gustative percepite dianzi al naso. Un ottimo strumento, insomma, per indagare ulteriormente l’unico elemento che, del vino, insomma, mi piace: tutto!