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La Sicilia vitivinicola contemporanea e le sfide del futuro

Sin dal primo momento che vi si approda, della Sicilia balza agli occhi l'esotismo smisurato impastato con qualcosa di famigliare e di rassicurante già nella sua - luminosissima - notte dei tempi, quando era regno di Federico II di Borbone che, da essa, tesseva il suo stupor mundi e, con essa, tracciava la cultura e l'eclettismo dell'Italia lui coeva, di cui proprio la Sicilia rappresentava e rappresenta tuttora il suo cammeo più riuscito.

Ed è curioso, ma è così anche da un punto di vista vitivinicolo. Volendo, infatti, restare all'interno del tracciato imposto dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia, il vigneto qui abita ben 98mila ettari di superficie: ovvero una tra le estensioni più ampie d'Italia. Attualmente, nell’isola vengono coltivate sia uve autoctone (quattordici circa) che varietà internazionali, spesso in combinazione tra loro grazie a una propensione al melting pot che è qui fattore connaturato e specie-specifico. Ma c'è di più. Perché oltre alla diffusione e al rafforzamento dell'identità del vino siciliano in Italia e nel mondo, il Consorzio, esistente dal 2012, si pone oggi nuovi obiettivi che hanno a che fare con la produzione biologica e, più in generale, con la sostenibilità e il rispetto dell’ecosistema che, pare, esser finalmente stato riconosciuto quale patrimonio più importante e, soprattutto, più concreto.

Non c'è vino, del resto, che non passi prima o poi da considerazioni di questa natura, tanto che discriminanti come la certificazione biologica finiscono per esser considerate spesso vessillo del livello evolutivo raggiunto da ogni denominazione. A questo proposito basti guardare l'esatta rivoluzione che sta investendo, proprio in questi anni, anche la Champagne, dov'è propiziata nientemeno che dal CVC (Centre Vinicole de la Champagne).

E dal momento che si tratta di conciliare istanze economiche con istanze ecologiche, apparentemente antitetiche, Sicilia DOC e Assovini Sicilia hanno deciso di bearsi, da quest'anno, della collaborazione della Fondazione  SOStain che, da canto suo, ha lo scopo, concretissimo, di certificare la sostenibilità del settore vitivinicolo regionale che esorta, tra le altre cose, all'abbandono del diserbo chimico mediante il sostegno dell'Università di Palermo.

Presidente della Fondazione è Alberto Tasca che, forte delle letture e della frequentazione diretta con Stefano Mancuso, uno dei più eminenti e dibattuti tra i botanici, accademici e saggisti italiani, descrive l'attività della Fondazione come  l'affermazione della natura olistica della sostenibilità, quale conciliazione tra ecocentrismo ed antropocentrismo. Il tutto mediante  un  disciplinare che è anche un sistema di governance in grado di trasformare la crisi ambientale in opportunità, come dimostrato dall'illuminato progetto di utilizzare solo vetri siciliani per le bottiglie, minimizzando così anche l'impronta carbonica.